Dante Alighieri a Firenze

Dante Alighieri a Firenze

Visite guidate alla scoperta dei luoghi danteschi. Sulle tracce del poeta nella sua città natale, con le guide turistiche di Firenze

In vista delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri che si terranno nel 2021, ripercorriamo le tappe delle visite dedicate alla vita del poeta e ai luoghi della Divina Commedia. Mostre,conferenze, eventi teatrali, letture, festival saranno organizzati dai vari comitati costituitisi nelle numerose città italiane, prime tra tutte le città dantesche per eccellenza: Firenze, Verona e Ravenna, che opereranno in collaborazione, in un clima di scambio e cooperazione. 

Firenze, città natale di Dante Alighieri

io fui nato e cresciuto sovra il bel fiume d’Arno alla gran villa’ (Inferno XXIII,  vv. 94-95). Dante e Virgilio attraversano le malebolge dell’Inferno, e scendendo sempre più giù nella voragine incontrano gli ipocriti, coperti da cappe con cappucci che a coprono gli occhi, dorate all’esterno ma di piombo all’interno. Uno di loro apostrofa Dante, riconoscendolo come vivo, in quel luogo dove solo i morti hanno accesso,  e dall’accento toscano, chiedendogli chi sia. Allora Dante si identifica come fiorentino, definendo ‘bel’ il fiume Arno, e ‘gran’ la villa, Firenze. Nell’aggettivo bello rivela la nostalgia per la sua patria, e nel chiamare Firenze la ‘gran villa’ esprime l’orgoglio di provenire da una ricca e potente città. Dante nacque presumibilmente nel maggio del 1265, da famiglia di fede guelfa, di origini nobiliari ma non particolarmente agiata e influente. L’anno di nascita è deducibile da varie fonti e da deduzione logica, tra cui l’incipit della Divina Commedia, dove Dante dice di essere ‘nel bel mezzo del cammin di nostra vita’, e visto che nella Bibbia la durata della vita era stimata di 70 anni, avrebbe avuto dunque avuto 35 anni nel 1300, anno in cui si compie il suo viaggio nell’aldilà. Il giorno invece si colloca tra i mesi di maggio e giugno, sotto il segno dei gemelli, favorevole ai talenti poetici e letterari: lo testimonia il canto XXII del Paradiso, nel momento in cui il poeta raggiunge il cielo delle stelle fisse, nella costellazione dei gemelli, a cui si affida per riuscire nell’arduo compito di descrivere la parte finale della cantica.

Il padre Alighiero svolgeva il mestiere di cambiavalute. Che il suo ruolo politico nella parte guelfa non fosse così preminente, lo si intuisce dal fatto che in seguito alla battaglia di Montaperti del 1260, dove i ghibellini guadagnarono una clamorosa vittoria, non fu esiliato da Firenze. Ma è all’antenato Cacciaguida, per la precisione suo trisavolo, che aveva ricevuto l’investitura di cavaliere da Corrado III di Svevia, e che aveva partecipato alla seconda crociata, nella quale trovò la morte, che Dante dedica ben tre canti del Paradiso, lodandone le virtù di combattente per la fede. La Firenze dei tempi di Cacciaguida, nel secolo XI, viene rimpianta da Dante numerose volte, perché a paragone dei tempi a lui attuali, era portatrice di valori b+en- più edificanti: onore e coraggio, onestà e rispetto. Dante condanna l’imbarbarimento che Firenze aveva subito nel corso del 1200, quando per la ricerca di arricchimento con i commerci e la sete di potere, si erano calpestati i valori fondanti della città antica.

Quanto alla casa degli Alighieri, dove Dante nacque e visse fino all’esilio, va detto che nel tempo se ne erano perse le tracce, e solo agli inizi del Novecento, sulla base di studi su fonti storiche e letterarie, fu possibile rintracciare il luogo dove pressappoco si trovava: nel cuore della città, di frontre alla chiesa di San Martino (poi Oratorio dei Buonomini)  e al monastero della Badia, a pochi passi dalla chiesa di Santa Margherita dei Cerchi e delle case dei Donati. Lì dove il tessuto urbano era fitto di alte torri, appartenenti alle diverse consorterie che facevano parte delle fazioni dei guelfi e ghibellini. Come tutte le guide turistiche di Firenze, anche io mi trovo spesso a mostrare gli edifici storici legati alla memoria di Dante,  e a sottolineare la loro originalità e autenticità, fatta eccezione per la casa natale del poeta. Venne infatti totalmente ricostruita nel 1911, secondo un progetto non filologico, ma evocativo e liberamente ispirato all’architettura del 1200. All’interno il Museo Casa di Dante, dove si illustra la vita del poeta, dalla sua formazione culturale all’incontro con Beatrice, alla partecipazione alla battaglia di Campaldino come cavaliere, all’incarico di priore delle arti, fino alla drammatica accusa di corruzione che gli causò l’allontanamento a vita dalla città. 

‘Il mio bel San Giovanni’. Dante e il Battistero di Firenze

Tappa obbligatoria delle visite guidate a tema dantesco, piazza del Duomo, e in particolare il Battistero. Immaginiamo la città sul finire del 1200, e quali erano gli edfici pubblici a carattere religioso e politico già costruiti: non molti a dire la verità, sicuramente il palazzo del Capitano del Popolo (oggi Bargello, che peraltro troverà la sua forma attuale solo una volta finiti i lavori di ampliamento a metà XIV secolo), mentre gli edifici religiosi erano solo allo stato di cantieri, a parte alcune chiese di ridotte dimensioni in stile romanico. La cattedrale era ancora Santa Reparata, ma il Battistero si ergeva già imponente e maestoso, distinguendosi nel tessuto urbano cittadino per il suo impianto classicheggiante e il paramento marmoreo in bianco di Carrara e verde di Prato.

A Firenze era tradizione che il battesimo venisse amministrato solo due volte all’anno, e come cerimonia collettiva, con partecipazione di tutto il popolo, che celebrava l’ingresso nella comunità cristiana di ogni nuovo nato, e suggellava l’appartenenza alla città. Anche Dante venne battezzato in Battistero, probabilmente nel marzo del 1266, secondo il rito per immersione, come era ancora solito fare nel basso medioevo. Al centro dell’edificio ottagonale vi era l’antico fonte battesimale, costruito tra il XII e il XIII secolo, di cui restano frammenti oggi collocati al Museo dell’Opera del Duomo. Il fonte venne infatti smontato dall’architetto granducale Bernardo Buontalenti nel 1576 in occasione del battesimo di Filippo, primogenito di Francesco I dei Medici. Per ricostruirne la struttura è fondamentale il disegno che il Buontalenti eseguì subito prima dell’intervento di rimozione, come anche il passo della Divina Commedia, da cui si deduce che il fonte era dotato di pozzetti in cui i bambini venivano battezzati.

Ed è proprio in questo famoso passo, nel XIX canto dell’Inferno, che Dante chiama il battistero ‘il mio bel San Giovanni’.  Per il poeta e per la città il Battistero era monumento simbolo di orgoglio civico, maestoso ed elegante, rivestito interamente di marmi, con la cupola scintillante di mosaici bizantini, avendo non solo funzioni religiose ma anche pubbliche. Dante riteneva , secondo la credenza comune fino al XVI secolo, che il Battistero fosse stato un tempio romano dedicato a Marte, convertito poi all’uso cristiano. Così recita la famosa terzina: 

‘Non mi parean men ampi né maggiori

Che que’ che son nel mio bel San Giovanni,

fatti per loco de’ battezzatori’

Siamo nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, dove si collocano i simoniaci. Nella terzina successiva Dante accenna a un episodio avvenuto proprio nel Battistero, di cui fu nella sventura protagonista, mentre sovrintendeva alla cerimonia, quando stava per affogare un bambino e lui riuscì a salvarlo, ma ruppe incidentalmente parte di un pozzetto: 

‘l’un de li quali, ancor non è molt’anni,

rupp’io per un che dentro vi annegava:

e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni’

Sebbene l’ultimo verso sia di controversa interpretazione, pare di capire che Dante sia stato perseguito per il danno arrecato al fonte, e che con questi versi volesse ribadire che si fosse trattato di un incidente.

Ancora una volta Dante ricorda il Battistero nella Divina Commedia, con tre terzine nel canto XXV del Paradiso, dove si fa struggente il ricordo della città natale e doloroso l’esilio forzato, nella vana speranza di far ritorno da poeta e ricevere la corona d’alloro con cerimonia pubblica, quando saranno passati molti anni e il suo ‘vello’ sarà ormai bianco:

con altra voce omai, con altro vello 

ritornerò poeta, e in sul fonte 

del mio battesmo prenderò ‘l cappello 

Formazione e studi. Brunetto Latini, maestro di Dante

Provenendo da famiglia di classe nobiliare, Dante potè godere di educazione e formazione culturale, presumibilmente presso un precettore per l’apprendimento dei fondamenti delle discipline umanistiche e matematiche; poi si suppone abbia studiato grammatica e filosofia nel convento dei francescani di Santa Croce. Una personalità di spicco nel panorama culturale di quegli anni era lo scrittore e poeta Brunetto Latini, di cui Dante fu quasi certamente allievo. Sfogliando le guide turistiche di Firenze, troviamo un nutrito elenco di personaggi famosi, dei luoghi dove sono nati e vissuti, delle loro sepolture nelle innumerevoli chiese della città, ma posso dire con certezza che a molti sfugge tra i tanti il nome di Brunetto Latini. La visita guidata a tema dantesco vi condurrà fino alla tomba di Brunetto, nella chiesa di Santa Maria Maggiore: non una delle più celebri basiliche, e va detto anche che la sepoltura del Latini è piuttosto anonima, persino difficile da trovare, ma proprio in questo sta l’attrattiva. 

Brunetto Latini fu un erudito e un notaio, vissuto ai tempi di Dante, attivo anche in politica, rivestendo l’importante carica di priore nel 1287, autore di opere in volgare sia italiano che francese. Si era allontanato da Firenze dopo la battaglia di Montaperti, facendovi però ritorno qualche anno dopo. Scrisse ‘Il tresor’, la prima enciclopedia in volgare, spaziando da temi religiosi a storici, da argomenti di astronomia, medicina e politica.

Dante però non transige sul peccato mortale di cui Brunetto si è macchiato in vita, e lo colloca nell’Inferno, nel terzo girone del settimo cerchio, destinato ai violenti. Passo famoso della Divina Commedia, dove il Latini profetizza l’esilio di Dante e il loro incontro diventa pretesto per condannare la corruzione e il malaffare che imperversa a Firenze. Da un punto di vista etico e religioso, l’episodio sottolinea il rigore morale di Dante, che si allinea al monito severo della chiesa nel condannare fermamente il peccato di sodomia. Dante incontra ser Brunetto presso il fiume Flegetonte, uno tre tre fiumi infernali, dalle acque rosse di sangue. Una schiera di dannati cammina nella sabbia rovente e la pioggia infuocata tormenta le loro carni. 

‘ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, 

la cara e buona imagine paterna 

di voi quando nel mondo ad ora ad ora                      

m’insegnavate come l’uom s’etterna’

Toccanti le parole che Dante sceglie per descrivere il momento in cui riesce a identificare Brunetto. ‘Cara e buona immagine paterna’:  parole che rivelano l’affetto verso colui che era stato un maestro di vita e non solo di lettere, e pietà e compassione nel vederne il viso bruciato e sofferente.

Beatrice, musa di Dante

Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare’ (Dante Alighieri, La Vita Nova).

Da via Dante Alighieri, passando accanto alla torre della Castagna e all’Oratorio dei Buonomini di San Martino, ci troviamo alla Casa di Dante e subito dopo alla chiesetta di Santa Margherita dei  Cerchi. Le guide turistiche di Firenze conducono molto spesso i loro gruppi fino a questa piccola chiesa romanica, per raccontare la storia di Beatrice, la musa di Dante. Purtroppo da qualche anno la chiesa è aperta con un orario ridotto, da quando la gestione è stata affidata alla comunità di Sant’Egidio, e quindi spesso ci si deve accontentare di vedere solo la facciata romanica in pietra.  La tradizione vuole che qui Dante si sia sposato con Gemma Donati, a cui era promesso sposo con contratto di matrimonio, stipulato tra le rispettive famiglie, dall’età di 12 anni; inoltre la chiesa di Santa Margherita dei Cerchi sarebbe il luogo dove è avvenuto l’incontro con Beatrice, di cui Dante scrive nella Vita Nova, e infine qui Beatrice avrebbe trovato riposo nella tomba di famiglia, anche se su questo punto ci sono molti dubbi, essendo possibile che la sepoltura sia avvenuta in Santa Croce, avendo sposato Simone dei Bardi, che come risaputo aveva una cappella nella basilica francescana.

Beatrice era figlia di Folco Portinari, un agiato mercante e banchiere. Del padre si hanno molte notizie perché alcuni studiosi di Dante hanno condotto ricerche di archivio sulla famiglia Portinari per ricostruire le vicende della vita di Beatrice e i dati cronologici da incrociare con la vita e i testi di Dante, al fine di validare o meno l’identificazione delle due figure femminili. Folco Portinari fu attivo in politica, svolgendo tra l’altro la carica di priore nel 1282. Sappiamo che nel 1285 comprò un pezzo di terra nei pressi della chiesa di Sant’Egidio e vi fece costruire il primo nucleo dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, atto benefico compiuto per scongiurare l’ammonimento della chiesa per usura. Nel suo testamento lasciò tutti i suoi beni ai quattro figli maschi, come era consuetudine; una dote per le quattro figlie ancora nubili, e una somma di 50 lire di fiorini piccoli a Bice, già sposata. In Santa Margherita dei Cerchi, sul lato sinistro, si trova l’altare Portinari, sotto al quale una lapide ci ricorda che qui Folco costruì la tomba di famiglia. Gli storici sono concordi nel ritenere sua figlia Bice la donna a cui Dante dedica la Vita Nova e che nella Commedia conduce il poeta attraverso i cieli del Paradiso.

Beatrice Portinari ha vissuto nella casa di famiglia situata in via del Corso, dove in seguito sarà costruito il palazzo Portinari Salviati. Sulla facciata del palazzo una lapide riporta la terzina tratta dal XXX canto del Purgatorio:

‘sovra candido vel cinta d‘uliva

donna m’apparve, sotto verde manto

vestita di color di fiamma viva’

E’ un’apparizione di luce e colori, di bellezza e speranza, che incanta il poeta giunto in cima alla montagna del Purgatorio, nel Paradiso terrestre. Beatrice ha in testa un velo bianco e una ghirlanda d’ulivo, indossa un mantello verde e un abito rosso vivo. Sono i colori delle virtù teologali: fede, speranza e carità. E’ su un carro, una nuvola di fiori intorno a lei, mentre cento angeli si alzano in cielo. Grazie a Beatrice, Dante potrà immergersi nel fiume Lete, il fiume dell’oblio, per dimenticarsi dei propri peccati. 

Beatrice Portinari nacque nel 1266, a 19 anni fu data in moglie a Simone dei Bardi, e morì giovanissima, a soli 24 anni

L’attività politica di Dante a Firenze

Provenendo da famiglia di nobile lignaggio, Dante condusse una giovinezza da gentiluomo, ricevendo adeguata educazione e istruzione. Come cavaliere partecipò alla battaglia di Campaldino, all’età di 24 anni, dove i guelfi ottennero una clamorosa vittoria sui ghibellini, tanto che l’evento segnò il definitivo declino a Firenze della fazione che parteggiava per l’imperatore. Ma la vera e propria partecipazione attiva alla politica inizio per l’Alighieri qualche anno dopo, in una fase storica in cui si allentarono le maglie che escludevano i nobili dal ricoprire le massime cariche istituzionali e di governo. Nel 1293 il gonfaloniere Giano della Bella aveva infatti emanato gli Ordinamenti di Giustizia, grazie ai quali i nobili venivano tagliati fuori dalla politica, ma un paio di anni dopo si eliminarono le restrizioni più dure per coloro che si fossero iscritti a una della arti. Le arti erano corporazioni di professioni e mestieri, e nel corso del XII secolo avevano raggiunto un’importanza determinante nell’economia e nella politica di Firenze. La classe mercantile aveva preso il sopravvento su quella nobiliare e si avviava a detenere di fatto il potere dello stato fiorentino. Ricchi mercanti di lana e seta costituirono le Arti della Lana, di Calimala e di Por Santa Maria, tra le più influenti e prestigiose. Vi erano poi i Pellicciai e Vaiai, i Giudici e Notai, i Medici e Speziali, i Cambiavalute, con le loro rispettive arti. Si tratta di arti maggiori, sette in tutto, mentre le 14 minori erano escluse dai giochi di potere. Dante si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali, della quale facevano parte anche i pittori (Giotto e Masaccio vi furono tra gli altri iscritti). I medici del tempo erano conoscitori di filosofia, ed è questo forse il motivo della scelta di Dante in favore di questa corporazione. La visita guidata vi farà scoprire dove si trovava un tempo la sede di questa arte prestigiosa, nel quartiere del mercato vecchio, di cui purtroppo resta poco e niente a causa dei rifacimenti ottocenteschi. Altra tappa dell’itinerario su Dante con guida è la chiesa di Orsanmichele, l’antico granaio, decorata grazie alle Arti sia maggiori che minori per incarico della Signoria, con statue in bronzo e in marmo all’esterno, e affreschi all’interno: la Madonna della rosa, sul lato di via dei Lamberti, era la protettrice dell’arte a cui Dante appartenne. 

Già nel 1295 Dante fece parte del Consiglio del Capitano del popolo. L’anno dopo, tra il 15 giugno e il 15 agosto, rivestì la carica di priore. Il priorato delle Arti era stato istituito nel 1282: i priori rappresentavano le Arti maggiori e costituivano una delle massime cariche dello stato fiorentino, con potere esecutivo e rappresentativo. La durata della carica era breve, solo due mesi, ai fini di garantire equità e larga partecipazione, scongiurando l’accentramento e l’abuso del potere. La loro sede era la torre della Castagna, situata proprio di fronte a dove nacque e visse Dante. Fu sostituita però qualche anno dopo dal Palazzo dei Priori, oggi Palazzo Vecchio, costruito appositamente per dare una degna sede al Priorato. Rivestire la carica di priore fu per Dante motivo di orgoglio civico, di sicuro rappresentò un balzo di carriera; eppure si rivelò essere poi la causa delle sue sventure, perché l’accusa di baratteria che gli fu contestata era relativa proprio al periodo del suo priorato.

Per chi volesse visualizzare i documenti conservati all’Archivio di Firenze relativi alla carriera politica di Dante a Firenze, consiglio la consultazione della mostra virtuale dedicata ai manoscritti che riportano il suo nome e la sua presenza nei consigli, nelle magistrature e istituzioni fiorentine.

Le accuse di corruzione, l’esilio. Il libro del Chiodo 

Dante subì accuse infamanti e condanne severe per essersi opposto alle mire espansionistiche del papa Bonifacio VIII sul territorio fiorentino, e per la sua militanza nelle fila dei guelfi bianchi. Membro del Consiglio dei Cento nel 1301, Dante contribuì con il suo voto alla messa al bando dei più accaniti e violenti rappresentanti delle due fazioni nemiche. La sua posizione politica decisa e schierata provocò la reazione del papa, che attraverso l’invio di Carlo di Valois, fratello del re di Francia, a Firenze come paciere, riuscì a far breccia nelle istituzioni politiche fiorentine, per poi eliminare tutti gli avversari. Carlo di Valois infatti nominò podestà il fedele condottiero Cante Gabrielli da Gubbio e dette inizio all’azione persecutoria nei confronti di Dante e degli altri membri dei guelfi bianchi. Mentre Dante si trovava a Roma come ambasciatore, a Firenze si tessevano trame contro di lui: sulla via del ritorno, seppe di essere chiamato a processo con documento ufficiale emanato dalla curia del podestà, alla data del 17 gennaio 1302, per rispondere alle accuse sui crimini commessi nel periodo in cui aveva svolto la carica di priore. Baratteria, lucri illeciti ed estorsioni inique: tradotto ai tempi nostri, si parla di corruzione. La pena prevista era di una multa di 5000 fiorini e due anni di esilio. Dante però non si presenta e non paga la multa: ne segue una seconda sentenza, terribile, il 10 marzo dello stesso anno: confisca immediata di tutti i beni, esilio perpetuo e condanna al rogo. Dante non rientra. Inizia il suo peregrinare presso i signori delle corti del centro e nord Italia. Nel 1315 gli viene concessa l’amnistia a patto che pagasse una multa simbolica e riconoscesse i suoi misfatti, ma fermo nelle sue posizioni e sicuro della sua innocenza, Dante non accetta. Scrive nella famosa Epistola XII: ‘Non è questa, padre mio, la via del mio ritorno in patria’.

Questa in breve la storia della drammatiche vicende politiche, delle condanne e dell’esilio. Fa parte poi della  storia recente la revoca del bando di condanna emesso ai danni del poeta, da parte del Comune di Firenze nel luglio del 2008. Già nel 1966 si era svolto ad Arezzo, nella basilica di San Francesco, ‘il processo a Dante’, a cui avevano partecipato giudici, avvocati e uomini di lettere, evento che costituì il primo passo per una completa riabilitazione della memoria di Dante e per il dovuto riconoscimento della sua innocenza e estraneità alle accusa ricevute. Mancava però l’ultimo capitolo della storia, cioè la cancellazione ufficiale da parte delle autorità del Comune di Firenze del bando dell’esilio e della pena di morte. Purtroppo non sono mancate le polemiche, seguite ai voti contrari, espressi durante la mozione, nelle quali è stato coinvolto il discendente di Dante, il conte Pier Alvise Serego Alighieri, che comprensibilmente avrebbe auspicato un favore unanime delle diverse forze politiche e non una divisione. Ma si sa, la storia dei guelfi e ghibellini, non è mai finita …

E a questo punto, continuando a seguire le tracce del poeta nel nostro itinerario dantesco a Firenze, giungiamo all’Archivio di Stato, dove un prezioso documento riporta le condanne inflitte a Dante: il Libro del Chiodo. Si tratta di un imponente registro dalle assi rivestite di cuoio, caratterizzato da chiodi metallici (di cui resta solo uno), che riporta copie delle condanne e dei bandi inflitti ai ghibellini e ai guelfi bianchi, ritenuti ribelli e sovversivi. Fu redatto probabilmente tra il 1354 e il 1358, nel periodo in cui i capitani di parte guelfa iniziarono la pratica dell’ammonimento preventivo di coloro che erano sospettati di nutrire ideali di ghibellinismo. Tale pratica si interruppe nel 1378, anno del tumulto dei Ciompi, quando i nuovi assetti politici determinarono il declino del potere della parte guelfa.

All’Archivio di stato si trova anche il ‘Priorista di palazzo’, il registro con i nomi di tutti coloro che hanno ricoperto la carica di priore: il nome di Dante è accompagnato da una miniatura che lo ritrae con un libro in mano, segno della sua fama di poeta.

In attesa dell’evento previsto per il 2021, quando l’Archivio mostrerà al pubblico il Libro del Chiodo e gli altri documenti relativi a Dante, in occasione del primo Dantedì  è stata presentata una mostra virtuale sul sito ufficiale, mostra di introduzione e anticipazione del materiale archivistico e degli argomenti dell’esposizione futura. 

I fiorentini nella Divina Commedia

Nella Divina Commedia  Dante si dimostra molto duro nei confronti di Firenze. Non accetta il decadimento morale che affligge la sua città natale, dove regna cupidigia e avidità, malaffare e corruzione. Basti pensare che nel suo viaggio attraverso l’Inferno, di tutti i personaggi che incontra e cita, oltre sessanta sono fiorentini, mentre se ne contano solo quattro nel Purgatorio e altrettanti nel Paradiso.

Nel visitare il centro storico di Firenze ci imbattiamo spesso nelle lapidi che riportano le terzine della Commedia, relative agli incontri e ai dialoghi con i membri delle storiche famiglie fiorentine. Il più celebre di tali personaggi è certamente Farinata degl i Uberti. Nel  cortile di ingresso di Palazzo Vecchio una lapide sul muro recita: ‘Oh quali ch’io vedi che son disfatti per lor superbia!’. I versi si riferiscono agli Uberti, le cui torri e case si trovavano poco più là, potenti nobili ghibellini di origine feudataria. Non resta traccia delle loro proprietà in città perche i guelfi rasero tutto al suolo e decretarono che su quella terra maledetta nessuno avrebbe mai potuto costruire. Ragion per cui la piazza della Signoria prese poi l’insolita forma a ‘elle’. Durante gli scavi archeologici condotti in concomitanza del rifacimento del lastricato della piazza negli anni Ottanta, vennero alla luce i resti delle case degli Uberti. Si trovavano dove secoli dopo sarà collocata la statua equestre in bronzo di Cosimo I. Gli Uberti erano possidenti di palazzi e terre nel Chianti. Manente, detto Farinata, era schierato con Federico II di Svevia, e partecipò tra le fila dei ghibellini alla famosa battaglia di Montaperti, dove Firenze guelfa subì una drammatica sconfitta. Dante chiosa la disfatta come uno ‘scempio / che fece l’Arbia colorata di rosso’, tanto fu il sangue versato. Ma pochi anni dopo la situazione si capovolge, e i ghibellini sono cacciati da Firenze. Farinata era già morto, ed era sepolto in Santa Reparata. Subì post mortem un processo per eresia, in cui l’inquisitore Fra’ Salomone da Lucca lo condannò, ordinò la riesumazione delle sue spoglie mortali e la dispersione di esse. Dante aveva allora solo diciotto anni e sicuramente fu profondamente colpito da questo tragico episodio. Nella commedia l’incontro con Farinata avviene nell’Inferno, nel VI cerchio, luogo di pena degli eretici. Dopo aver attraversato la palude Stigia, Dante e Virgilio giungono nella città di Dite, dove gli eretici sono tormentati dal fuoco. Farinata si erge fiero nella suo tomba infiammata, e apostrofa Dante chiamandolo ‘tosco’, riconoscendolo dalla parlata, la ‘loquela di quella nobil patria’. Sebbene colpevole di eresia, sebbene rappresentante dei nemici ghibellini, Farinata è rispettato da Dante perché incarna i nobili valori perduti della fermezza e della fedeltà ai propri principi, e perché ebbe attaccamento a Firenze quando nella dieta di Empoli, in seguito alla battaglia di Montaperti, convocata per decidere le sorti di Firenze sconfitta, salvò la città dalla distruzione che senesi e lucchesi avrebbero voluto. 

A pochi passi da piazza della Signoria dove viveva Farinata, un altro fiorentino che Dante incontra in fondo alla voragine infernale e a cui riserva un trattamento molto più duro, fatto di parole sprezzanti e umiliazione, è Bocca degli Abati. La visita guidata vi permetterà di scoprire, attraversando l’intricato reticolo di torri medievali e strette vie della parte più antica di Firenze, dove si trovava la casa di Bocca. Nobile fiorentino di parte guelfa, poi passato a quella ghibellina, nella battaglia di Montaperti si trovava vicino al carroccio con lo stendardo di Firenze, retto da Jacopo dei Pazzi; quando a Jacopo fu mozzata la mano e lo stendardo cadde, gettando nello scompiglio l’armata guelfa, Bocca venne accusato di essere l’artefice del misfatto e venne incolpato di alto tradimento. Per questo vile crimine Dante lo colloca nella seconda zona del IX cerchio, l’Antenora, dove sono puniti i traditori della patria. Nel lago ghiacciato di Cocito, Bocca batte i denti e latra come un cane. Così Dante lo rappresenta disumanizzandolo, e mortificandolo orribilmente, concludendo il breve scambio di parole:‘Omai, diss’io, non vo’ che più favelle,/ malvagio traditor; ch’a la tua onta / io porterò di vere novelle’

E altri saranno i personaggi della Divina Commedia che l’itinerario dantesco a Firenze vi farà conoscere. Corso Donati, capo dei guelfi neri, e le sue torri di via del Corso; Filippo Argenti, colpevole di peccato di ira, che a Firenze era noto per le arie che si dava e perché ferrava il cavallo con l’argento; Buondelmonte dei Buondelmonti, il cui assassinio la mattina di Pasqua per vendetta, accese la scintilla che accese la lotta tra guelfi e ghibellini; e il marchese Ugo di Toscana, che Dante chiama ‘il gran barone’, e il cui stemma ‘di rosso a tre pali d’argento’ è ricordato nel XVI canto del Paradiso.

Codici ed edizione antiche della Divina Commedia nelle biblioteche fiorentine

Firenze vanta un pregevole patrimonio librario nelle sue numerose biblioteche. Capita che a noi guide turistiche qualche visitatore chieda se Firenze custodisce il manoscritto originale della Divina Commedia scritto da Dante in persona … e cosa rispondere? Magari! Il fatto è che non è arrivato fino a noi nessun manoscritto dell’opera di Dante, anzi va detto che non esistono per nessuna opera del poeta, e neanche una lettera, o una nota, scritta di suo pugno, è arrivata fino a noi.  Esistono antichi codici con la trascrizione della Divina Commedia, scritti poco dopo la morte di Dante, e uno di questi è conservato alla Biblioteca Centrale di Firenze: di grande valore per la sua completezza, per la sua unicità nell’essere il primo codice miniato della Divina Commedia. Si tratta del Codice Palatino 313, datato indicativamente al 1325-1350, detto anche Dante Poggiali dal nome del suo proprietario nell’Ottocento. Scritto in litterae textuales, un genere di scrittura che ha avuto origine nella Francia del nord come evoluzione della minuscola carolina, presenta ben 37 miniature attribuite al pittore giottesco Pacino da Bonaguida. Nel 2014 il codice Palatino fu eccezionalmente esposto a Roma, a palazzo Firenze, in occasione della presentazione del fac-simile, una fedele e raffinata riproduzione realizzata dalla Società Dante Alighieri e Imago.

Ancora alla Biblioteca Nazionale si trova un altro manoscritto miniato di grande valore, della metà del XIV secolo, a circa solo cinquanta anni dalla morte di Dante, con il commento di Francesco di Bartolo, letterato e latinista di Pisa, famoso proprio per il suo lavoro di esegesi della Divina Commedia, di cui ricevette l’incarico dall’Università di Pisa. La prima volta che l'intera Commedia viene analizzata da un punto divista letterale, allegorico e morale.

Infine, per quanto riguarda la Biblioteca Nazionale di Firenze, nell’ambito degli incunaboli, detti anche quattrocentine, non si può non citare la copia della prima edizione a stampa, l’edizione princeps stampata a Foligno nel 1472 dal tedesco Johannes Numeister, allievo di Johann Gutenberg,  inventore della stampa a caratteri mobili. Dell’edizione princeps esistono al mondo pochi esemplari, circa una trentina, cosa che ne rende ancora maggiore il valore.

Tappa obbligatoria delle visite guidate a Firenze è il complesso laurenziano. Visitiamo la basica, le cappelle Medicee, la biblioteca. Quest’ultima, detta Medicea Laurenziana, il cui nucleo principale proviene dalle collezioni librarie dei Medici, eccelle per la cospicua serie di manoscritti, circa 11000. Codici e libri antichi sono però troppo fragili per una esposizione continua al pubblico, e solo in rare occasioni vengono mostrati. Con un po’ di fortuna potrebbe capitare di vedere esposto il Codice Laurenziano Pluteo 90, datato al 1300: uno dei più antichi della Divina Commedia, costituito da 101 fogli dei quali la parte riguardante la Commedia, in scrittura bastarda di base cancelleresca, fu realizzata da Francesco di Ser Nardo da Barberino. Viene comunemente chiamato Codice Gaddiano in quanto appartenne alla storica famiglia fiorentina dei Gaddi prima di essere acquisito dai Medici.

Il cenotafio di Dante in Santa Croce

Dante fu ospite di Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna, negli ultimi anni della sua vita. Fu accolto con tutti gli onori e gli venne reso merito per il suo valore di poeta e la sua statura culturale e morale. Qui completò la Commedia e visse serenamente in compagnia della sua famiglia, a cui si era finalmente ricongiunto. La morte lo colse nel 1321, a causa della malaria che aveva contratto durante il viaggio a Venezia, compiuto con funzioni di ambasciatore per recarsi dal doge Giovanni Soranzo. Il funerale fu celebrato nella chiesa di San Francesco di Ravenna.

Nella cosiddetta zona del silenzio, Dante riposa nel tempietto in stile neoclassico costruito nel 1780 dall’architetto Camillo Morigia: sopra l’urna sepolcrale, una lastra scolpita a bassorilievo rappresenta il poeta in atteggiamento riflessivo e pensoso. Ogni anno, il 14 settembre, giorno della morte di Dante, una delegazione del Comune di Firenze si reca a Ravenna per consegnare come omaggio e segno di pacificazione l’olio d’oliva delle terre toscane per mantenere accesa la lampada votiva della tomba. Nel 2019 la cerimonia è stata particolarmente significativa, avvicinandosi i tempi alle celebrazioni del 700esimo anniversario della morte del poeta. A Ravenna si sono incontrati sindaci e amministratori provenienti da 31 città italiane. Il cardinale di Firenze Giuseppe Betori ha celebrato la messa solenne nella basilica di San Francesco e a seguire la tradizionale offerta dell’olio al sepolcro è stata accompagnata dal discorso del sindaco Dario Nardella: ‘La cerimonia dell'olio è un gesto di grande valore simbolico e di riconciliazione verso il Poeta. Ricordo che già 29 anni dopo la morte di Dante i Capitani di Orsanmichele inviarono Boccaccio da Firenze a Ravenna con 10 fiorini d'oro che furono consegnati a suor Beatrice, figlia di Dante, segno già allora che la città natale voleva ritrovare un rapporto con quel suo figlio così illustre'.

La vicenda delle spoglie di Dante è lunga e tormentata: una storia di contese e rancori, di cui un episodio particolarmente noto è quello avvenuto nel Cinquecento, quando da Firenze partì una rappresentanza con il compito di recuperare le spoglie mortali del poeta e condurle nella sua città natale. Ufficialmente il papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico dei Medici, concesse il permesso della chiesa di Roma affinché si compisse la missione. Ma i fiorentini non trovarono i resti di Dante, perché i frati francescani li avevano nascosti nel loro convento. Firenze dovette infine rinunciare. Nell’Ottocento, ormai assodato che la tomba di Dante sarebbe rimasta a Ravenna, Firenze si rassegnò, dovendosi accontentare di un cenotafio nella basilica di Santa Croce. Ed è qui che la vostra guida turistica vi condurrà per compiere il percorso dantesco. Nella navata destra della basilica, accanto al monumento funerario di Michelangelo Buonarroti, si trova la tomba simbolica, vuota, di Dante Alighieri. L’opera fu eseguita dal giovane artista emergente Stefano Ricci tra il 1818 e il 1830. Un lungo lavoro, che richiese quasi dieci anni; venne finanziato da personalità del mondo culturale e letterario del tempo. Un entusiasta Giacomo Leopardi scriverà per l’occasione la canzone ‘Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze’. Era un periodo di intensi fermenti prerisorgimentali, in cui la realizzazione del monumento a Dante si inseriva perfettamente, nel celebrare gli uomini illustri del passato che avevano contribuito la gloria della penisola. Il cenotafio di Dante si rivelò però una delusione. A detta di molti non soddisfaceva le aspettative, per il suo carattere freddo e retorico, pedissequamente imitativo dello stile del Canova. Dure critiche furono rivolte al modo in cui era rappresentato Dante, sia per le vesti all’antica sia per i caratteri fisici non corrispondenti al vero.

In Santa Croce Dante è rappresentato anche sul sagrato a sinistra della facciata: la statua in marmo di Carrara venne eseguita da Enrico Pazzi nel 1865 per la ricorrenza dei 600 anni dalla nascita del poeta. Sarebbe dovuta appartenere alla città di Ravenna, ma questa non la ebbe per il costo esoso, e venne acquisita da Firenze. Rimase al centro della piazza fino al 1967, quando venne spostata accanto alla facciata. Sul piedistallo un’epigrafe recita:

A Dante Alighieri

L’Italia

M DCCC LXV

 

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