Visita guidata agli Uffizi
Un viaggio attraverso la pittura del Rinascimento italiano in una delle pinacoteche più ricche al mondo, tra i grandi maestri e il collezionismo mediceo.
Di seguito troverete le mie proposte di viste guidate agli Uffizi, dalla classica visita concentrata sulle opere più importanti, alle visite specialistiche su temi specifici, scuole di pittura, stili e suddivisione cronologiche, sezioni speciali della galleria, visite di approccio storico-museografico e alle mostre temporanee.
I capolavori dei grandi maestri: la visita guidata agli Uffizi più richiesta
Consiste nella spiegazione di una selezione delle opere più importanti, preceduta da un’introduzione sulla storia del palazzo e della collezione. Inoltre visita delle sale storiche principali, affaccio su Firenze al punto panoramico e breve sosta nella terrazza sulla loggia della Signoria. Consigliata a chi non ha mai visto il museo, o magari non aveva mai partecipato a una visita con guida.
Visite specialistiche
Le prime sale della galleria: percorso focalizzato su pittura medievale di stampo bizantino, Giotto e scuola, gotico. I primi maestri toscani del Duecento, Cimabue, Giotto, Duccio da Boninsegna, Simone Martini, i Lorenzetti, i pittori giotteschi, Lorenzo Monaco, Gentile da Fabriano.
Il primo Rinascimento: pittura del Quattrocento, principalmente di scuola fiorentina, con incursioni in altre scuole dell’Italia centrale. Masaccio, Beato Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Piero della Francesca, i Pollaiolo, Botticelli, Ghirlandaio, Perugino.
Il rinascimento in Italia settentrionale: scuole veneta, emiliana, lombarda del XV e XVI secolo. Giovanni Bellini, Mantegna, Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Correggio, Parmigianino, Lotto, Moroni.
La pittura del Cinquecento: i grandi maestri, il manierismo, la pittura di corte. Michelangelo, Raffaello, Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino, Bronzino, Vasari, Salviati.
Pittura fiamminga, olandese e tedesca dal XV al XVII secolo: Memling, Rogier van der Weyden, Hugo van der Goes, Albrecht Durer, Rubens, Rembrandt, Sustermans, Gerrit van Honthorst
Caravaggio, i caravaggeschi e la pittura del Seicento.: i capolavori del Merisi e le opere di Bartolomeo Manfredi, Artemisia Gentileschi, Battistello Caracciolo, Guido Reni, Carlo Dolci, Cecco Bravo, Jacopo Chimenti
Storia del collezionismo e museografia agli Uffizi: i corridoi, la Tribuna, lo stanzino delle Matematiche, la sala delle Carte geografiche, il Gabinetto di Madama, la sala della Niobe.
Arte antica: la collezione archeologica dei Medici. Divinità, eroi, atleti, imperatori, filosofi e pensatori, tra storia e mitologia.
La collezione Contini Bonacossi: nelle nuove sale inaugurate nel 2018 sono esposti i 144 pezzi appartenuti al conte antiquario e collezionista Alessandro Contini Bonacossi
- Tutte le visite sono rivolte a gruppi di agenzie, associazioni, aziende, scuole. Possono essere svolte per un massimo di 25 persone. Oppure come visite private per famiglie, piccoli gruppi di amici, in coppia. Nei periodi di maggiore affluenza organizzo visite in minigruppo, a cui ci si può aggiungere individualmente, con prezzo agevolato
- Contattatemi per ricevere informazioni, costi, modalità di prenotazione dei biglietti ad ingresso prioritario. Mi occupo personalmente della prenotazione dei biglietti attraverso il canale ufficiale di vendita delle Gallerie degli Uffizi, senza costi aggiuntivi a quello del servizio guida. I gruppi superiori a 7 persone saranno forniti di auricolari (obbligatori in galleria)
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A seguire troverete una breve sintesi su storia del palazzo degli Uffizi, collezionismo mediceo, opere più importanti della galleria, che potrà esservi utile come lettura per prepararvi alla visita.
Introduzione: la costruzione del palazzo e il primo allestimento della Galleria
La galleria degli Uffizi occupa gran parte del palazzo costruito nel XVI secolo tra l’Arno e piazza della Signoria per gli uffici dello stato fiorentino. Per abitudine consolidata continuiamo a chiamarla così, anche se la denominazione corretta è adesso Galleria delle statue e delle pitture, facente parte del complesso museale delle Gallerie degli Uffizi, che comprende Palazzo Pitti, il Corridoio Vasariano e il giardino di Boboli.
Il lungo cammino per rinnovare il percorso espositivo e adeguare gli ambienti all’afflusso sempre crescente di visitatori è ormai in fase di conclusione. Il direttore Eike Schmidt ha assicurato che i lavori dei ‘Nuovi Uffizi’ saranno conclusi entro il 2024: la galleria sarà dotata di un nuovo ingresso, di un ristorante, di ulteriori 12 sale, mentre è ancora in sospeso la questione della loggia dell’architetto Isozaki, per la quale si aspetta la decisione finale del ministero. I finanziamenti sono acquisiti, in totale 58 milioni di euro dal 2016, dei quali 10 sono destinati al Corridoio Vasariano, e non ci resta dunque che aspettare!
La galleria degli Uffizi gode meritatamente di fama internazionale per svariati motivi: la sua pinacoteca è la più importante al mondo per la pittura italiana del Rinascimento, si trova in una straordinaria e scenografica sede storica nel centro di Firenze, la sua storia è indissolubilmente legata alla famiglia dei Medici, grandi mecenati e collezionisti, inoltre la sua fondazione risale a oltre quattro secoli fa, molto prima rispetto ai grandi musei europei.
Risalendo indetro nel tempo, ci troviamo all’epoca del duca Cosimo I dei Medici, che dopo la conquista di Siena e l’ambizioso progetto di creare uno stato fiorentino più ricco, potente e autorevole, commissiona a Giorgio Vasari, suo architetto di fiducia, la costruzione di un grande palazzo dove riunire i vari uffici e magistrature pubblici collocati fino ad allora in varie sedi nella città. Nello specifico, queste erano le magistrature che trovarono sede nel palazzo, al piano terra e al primo piano: i Conservatori di Leggi, i Commissari delle Bande, gli Ufficiali della Grascia, il Magistrato dei pupilli, gli Ufficiali dell’onestà, le decime e le vendite, il Tribunale di Mercanzia, l’arte di Calimala, l’arte della seta, l’arte del Cambio e i Nove Conservatori del dominio e della giurisdizione fiorentina. Il Vasari progettò un imponente edificio, caratterizzato dall’uso della pietre serena e dalla forma a ‘U’, situato tra la piazza e il palazzo della Signoria da un lato, e il fiume dall’altro. Le case e le torri che si trovavano lì furono distrutte, mentre venne risparmiata l’antica chiesa di San Pier Scheraggio, inglobata nel nuovo edificio. L’impresa non era da poco: richiedeva molte risorse e tempi lunghi, tanto che Vasari non sopravvisse alla fine dei lavori. Lo sostituirono Bernardo Buontalenti e Alfonso Parigi il Vecchio. Nel 1580 il palazzo fu completato, al tempo del granduca Francesco I.
Fu proprio Francesco I a voler trasformare l’ultimo piano dell’ala di levante in galleria di statue e pitture. Il corridoio venne decorato con affreschi nelle volte del soffitto, si disposero quadri alle pareti nella parte alta e in basso statue antiche, alternate a statue moderne. Il Buontalenti, l’artista poliedrico prediletto da Francesco, realizzò la Tribuna, una sala destinata ai pezzi migliori delle collezioni medicee. Qualche anno dopo con lo Stanzino delle Matematiche, per gli oggetti scientifici, e l’Armeria, in cui esporre rari esemplari di armi e armature, si completò il primo assetto dell’allestimento della galleria.
Il corridoio di levante: le grottesche, le serie aulica e gioviana, la collezione di antichità
Appena entrati nel corridoio all’ultimo piano, si viene subito rapiti dalla formidabile decorazione ad affresco del soffitto. Venne eseguita intorno al 1580 da Antonio Tempesta e a seguire da Alessandro Allori e dalla sua bottega. La decorazione è a grottesche manieriste, molto ben conservata grazie all’abilità degli esecutori nella tecnica del buon fresco, sia anche per i recenti restauri che hanno ripulito da accumuli di polveri e impurità. Durante la visita guidata agli Uffizi ci viene spesso chiesto da cosa derivi il termine grottesca. Molti pensano che si riferisca al carattere caricaturale e mostruoso dei mascheroni presenti in questo genere decorativo, oppure ai soggetti bizzarri e deformi che ne popolano le scene, confondendosi con racemi e candelabre, in un gioco complesso e virtuoso di incastri. In realtà la spiegazione è un’altra. Grottesca deriva da grotta, nello specifico dalle ‘grotte’ in cui a Roma vennero scoperti dipinti murali di epoca antica, che i pittori del Cinquecento ebbero modo di conoscere e studiare, traendone ispirazione per i loro lavori di decorazione di cortili e gallerie delle ville signorili e dei palazzi pubblici. Quelle grotte erano in realtà ciò che restava della Domus Aurea di Nerone: prima che le vestigia della villa fossero riportate alla luce con gli scavi archeologici, per accedervi bisognava calarsi con corde e scendere all’interno di grotte, un tempo ambienti suntuosi ricchi di pitture, marmi e pietre dure di quella che fu una reggia imperiale immensa.
Per gli appassionati di storia moderna è sicuramente molto interessante la serie gioviana, composta da centinaia di piccoli ritratti di personaggi famosi. E’ esposta subito sotto le volte del soffitto dei tre corridoi, in un susseguirsi di immagini di re e regine, imperatori e sultani, duchi e condottieri, cardinali e papi, viaggiatori e scienziati. A Cosimo I era piaciuta la collezione di ritratti di Paolo Giovio, vescovo e intellettuale ospite dei Medici negli ultimi anni della sua vita, e pensò bene di farla copiare al suo artista di corte Cristoforo dell’Altissimo. In seguito si continuò a dipingere nuovi ritratti per tenere sempre aggiornata la serie.
L’altra serie di ritratti, detta aulica, mostra la storia della famiglia Medici attraverso i suoi più importanti membri. Da Giovanni di Bicci, fondatore del banco mediceo, a Cosimo il Vecchio pater patriae, a Piero il Gottoso, Lorenzo il Magnifico, i papi Leone X e Clemente VII, così come il ramo cadetto, da cui provengono i granduchi da Cosimo I all’ultimo Giangastone, puntualmente accompagnati dalle loro consorti in abiti suntuosi.
Infine nei corridoio è esposta gran parte della collezione di antichità dei Medici, per lo più di arte romana, risalente a un periodo che va dal I secolo a. C. al II secolo d. C. Dal Quattrocento furono numerosi i ritrovamenti e gli scavi archeologici a Roma: inizia la moda del collezionismo archeologico, diffusa tra nobili e facoltosi borghesi, che scatena una sorta di gara nell’aggiudicarsi le opere migliori e nel vantare il numero maggiore di pezzi. I Medici saranno grandi appassionati di antichità. Riuscirono ad assicurarsi opere di grande pregio. Chi è interessato all’argomento troverà più avanti alcuni cenni su una selezione di opere antiche agli Uffizi che consiglio particolarmente.
I grandi maestri: i capolavori degli Uffizi da non perdere
E’ arduo selezionare una serie di opere da consigliare a chi visita la galleria per la prima volta e non può trattenersi un tempo superiore a 2/3 ore. Ma capisco che tutti non hanno l’opportunità di tornare più volte al museo e visitarlo per sezioni, cosa che sarebbe preferibile, e sarebbe utile per loro conoscere fin da subito le opere su cui concentrarsi e cosa non si deve assolutamente tralasciare. Per chi partecipa a una visita guidata agli Uffizi sarà facile seguire la guida di sala in sala, ottimizzare i tempi e godersi appieno della visita; ma anche in questo caso è sempre bene prepararsi prima, anche con brevi letture mirate, per farsi un’idea di quello che si andrà a vedere. Scegliere una serie di opere da proporre prima di tutte le altre è forse azzardato, considerando le centinaia di capolavori che il museo offre. Fatta la dovuta premessa, operando dunque una decisa scrematura, troverete di seguito una scelta di opere pittoriche, celebri e particolarmente significative nella storia dell’arte occidentale, a cui non si può rinunciare!
La Maestà di Ognissanti di Giotto
La sala 2 è dedicata alla pittura toscana tra XIII e XIV secolo: una sala di grandi dimensioni in cui dominano imponenti le tre maestà di Giotto, Cimabue e Duccio da Boninsegna.
La Madonna di Ognissanti è considerata un manifesto della pittura medievale, agli albori del nuovo linguaggio artistico che si imporrà per tutto il Trecento da un capo all’altro della penisola. La pala di Giotto risale al 1306 – 1310 e si trovava nella chiesa degli Umiliati, poi di Ognissanti, dove ancora è presente la croce, dello stesso autore, recentemente restaurata ed attribuita al maestro con maggiori evidenze grazie a studi recenti. La figura di Maria troneggia al centro mostrando il bambino Gesù benedicente, mentre ai fianchi del trono angeli e profeti in adorazione e nel gesto di porgere fiori e oggetti liturgici alla divinità. Nuove tonalità, sottili passaggi chiaroscurali, senso dei volumi e della profondità sono gli elementi che da sempre la critica ha evidenziato in questa opera. Una figura di Maria più vera, più umana, più vicina a noi, sebbene il tradizionale fondo oro la collochi in una dimensione ultraterrena sublimandone la natura.
Per chi è interessato ad approfondire la pittura di Giotto a Firenze, consiglio di visitare la basilica di Santa Maria Novella, dove troverete la croce dipinta dal maestro in epoca giovanile, e le cappelle Bardi e Peruzzi della basilica francescana di Santa Croce affrescate con cicli su San Francesco, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista.
La Madonna col bambino di Filippo Lippi
E’ l’opera che troverete sul biglietto degli Uffizi, scelta come immagine iconica della Madonna col bambino, soggetto per eccellenza della pittura rinascimentale. Proviene dalla collezione del cardinale Leopoldo dei Medici, ma il committente resta sconosciuto. Datata alla metà degli anni sessanta del Quattrocento, ritrae la bella Lucrezia Buti, donna del pittore, nel fiore della sua avvenenza e dei suoi anni. Una storia d’amore che fece scandalo al tempo, per l’appartenenza agli ordini religiosi di entrambi: Lucrezia giovane suora del convento di Santa Margherita di Prato, Filippo frate carmelitano della comunità fiorentina. Per tutti e due la vita di preghiera e castità non era stata una scelta. Furono comunque liberati dai voti e potettero vivere insieme e mettere su famiglia. Il figlio maschio, Filippino, sarà degno allievo del padre.
Botticelli fu a bottega del Lippi. Da lui apprese la tecnica della pittura su tavola, ma soprattutto la precisione del tratto del disegno e il senso di grazia e soavità.
La Madonna del Lippi è vista come immagine devozionale ancora ai nostri giorni. Qualcuno sicuramente si ricorderà di averne visto una riproduzione sulla testata del letto dei nonni!
I ritratti dei duchi di Urbino di Piero della Francesca
Al centro della sala 8, il dittico con i ritratti di Federico da Montefeltro e Battista Sforza, dipinti intorno al 1472, rappresenta una diffusa tipologia di ritratto quattrocentesco, con influenza classiche nell’impostazione dei volti di profilo, derivante dai ritratti degli imperatori romani sulle monete, insieme a influssi fiamminghi nella resa meticolosa dei tratti fisionomici e dello sfondo cristallino; il tutto riassunto nella sintesi prospettico-matematica tipica del rinascimento fiorentino. I due pannelli erano in origine collegati da una cerniera che permetteva l’apertura e la chiusura a libro: un dittico all’antica, tipologia di oggetto da collezione in voga nel Quattrocento. Va ricordato che l’opera è l’unica a Firenze di Piero della Francesca. Arrivò nel XVII secolo con l’eredità di Vittoria della Rovere, sposatasi con Ferdinando II dei Medici. Durante la visita guidata agli Uffizi non manchiamo mai di mostrare quest’opera, raccontandone aneddoti e curiosità, tra cui il motivo della scelta del ritratto di profilo da parte del duca: era un modo per mostrare il lato buono, nascondendo la profonda cicatrice che lo sfigurava orribilmente dall’altra parte del viso. Il ritratto della duchessa fornisce poi molti spunti per parlare di cosmetica e bellezza nel Quattrocento. La fronte alta, il pallore della pelle, i gioielli ricchi di perle, la manica in velluto con il motivo della melagrana. Sull’altra faccia dei pannelli, la coppia è portata in trionfo su carri, accompagnata dalle personificazioni delle loro virtù.
La Primavera di Botticelli
Le opere di Alessandro Filipepi, detto il Botticelli, sono distribuite in ben quattro sale, due delle quali esclusivamente dedicate al pittore. Gli Uffizi vantano la collezione botticelliana più completa al mondo e di più alta qualità, attraverso la quale si illustrano ampiamente le tre fasi dell’attività di Botticelli, dalle Madonne giovanili, memori della lezione dei maestri Filippo Lippi e Andrea del Verrocchio, ai soggetti mitologici per l’elite fiorentina, di cui la Primavera e la Venere costituiscono i massimi risultati, fino all’ultima fase, caratterizzata esclusivamente da soggetti religiosi, e segnata da una profonda crisi spirituale che sconfina nel misticismo.
La Primavera è un’opera sorprendente, nel tripudio di una natura rigogliosa e generosa, nella leggerezza ed eleganza delle figure femminili, nella perfezione tecnica delle velature, trasparenze e colori sapientemente accostati. Venere al centro, dea dell’amore, accenna a un gesto di saluto e di danza, sopra di lei il figlio Cupido bendato, nel gesto di scagliare una freccia verso una delle tre grazie, che danzano leggiadre; Mercurio, dio dell’intelligenza e della velocità, allontana le nuvole dal giardino con il suo caduceo, per scongiurare la tempesta del cielo e i turbamenti dell’animo; a destra il vento Zefiro, freddo e impetuoso, insegue la ninfa Clori e con il suo soffio la feconda e trasforma in Flora, dea delle fioriture e protettrice delle donne in gravidanza. Il soggetto è tratto da fonti antiche e dalla poesia contemporanea rinascimentale. L’opera si trovava nella villa medicea di Castello, che apparteneva a Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico. Forse fu un regalo in occasione delle nozze con Semiramide Appiani, figlia del signore di Piombino.
Formidabile la varietà botanica del prato, con centinaia di specie di fiori, scelti appositamente per le loro simbologie associate per lo più ai temi dell’amore e del fidanzamento. Sullo sfondo un boschetto di aranci, scelto per associazione araldica con lo stemma mediceo, e il mirto, pianta sacra a Venere.
La Nascita di Venere di Botticelli
E’ senza dubbio il quadro più famoso degli Uffizi, un’icona senza tempo che attira milioni di visitatori da tutto il mondo. Nei periodi di maggior affluenza al museo, la folla che si accalca davanti all’opera rende difficile avvicinarsi. La Venere fu verosimilmente commissionata da Lorenzo di Pierfrancesco dei Medici, cugino del Magnifico, per la sua villa di Castello. La critica è concorde nel ritenere la datazione di qualche anno posteriore alla Primavera.
La composizione figurativa è sintetica e simmetrica: Venere al centro, su una conchiglia, spinta dai venti, raffigurati a sinistra sotto forma umana, Zefiro e Aura, mentre a destra una delle Grazie attende la dea per coprirne la nudità con un mantello color porpora. Venere ha i capelli biondi, lunghissimi, dalle ciocche ritoccate di fili d’oro, la sua pelle riluce come d’alabastro, il suo viso delicato esprime purezza giovanile. I colori scelti dal pittore sono tenui, di un pastello chiaro e luminoso. Il mito antico di Afrodite, nata dalla spuma del mare, si fonde in quest’opera con il mito moderno di Simonetta Vespucci, giovane donna nota per la sua bellezza nella Firenze rinascimentale, musa di poeti e artisti. Veniva da Genova, il suo cognome era conosciuto, Cattaneo. Sposò un Vespucci di Firenze a sedici anni. Morì giovanissima, e forse proprio questo contribuì a fare del suo fascino un mito senza tempo. La sua precoce scomparsa gettò nella disperazione Botticelli. Si dice che il pittore espresse il desiderio di essere sepolto accanto a lei nella chiesa di Ognissanti. Continuò a ispirarsi alla sua avvenenza e a dipingere le figure femminili con il suo volto etereo, incorniciato dalla lunga chioma bionda.
L’Annunciazione di Leonardo da Vinci
Nella nuova sala di Leonardo da Vinci le tre opere esposte sono finalmente valorizzate al meglio, in un grande spazio esclusivo con moderno impianto di illuminazione e vetri di protezione che permettono una visuale ravvicinata per cogliere fino ai dettagli meno evidenti.
L’opera fu commissionata a Leonardo intorno al 1472, quando l’artista aveva appena concluso l’apprendistato presso la bottega di Andrea del Verrocchio e poteva ambire a soddisfare commissioni in veste di maestro indipendente. L’Annunciazione era destinata alla chiesa di San Bartolomeo a Monte Oliveto, sulle colline di Firenze, non lontano dal quartiere di San Frediano.
La vergine è tradizionalmente seduta a destra, di fronte a un leggio su cui è poggiato un libro e un velo trasparente, ritratta nel gesto di sfogliare il libro e mostrando timore alla vista dell’arcangelo Gabriele nel ritrarsi e alzare la mano sinistra come quasi a proteggersi. Lo sfondo ceruleo si perde all’orizzonte nella nebbia e in un bagliore che lascia presagire uno spazio ultraterreno, e forse l’arrivo dello Spirito santo annunciato dall’angelo. Una città sull’acqua, con un porto da cui partono navi in direzione dell’infinito, sottolineano ancora il tema del viaggio, e del passaggio da un mondo all’altro.
L’impianto prospettico dimostra la precoce abilità di Leonardo nel gestire complicate costruzioni spaziali. Il punto di fuga si trova nella montagna del paesaggio al centro, ma le linee sono concentrate sul lato destro e presuppongono un punto di vista laterale. Inoltre le figure stesse sono disegnate e posizionate per essere viste da un punto preciso, a destra e a qualche metro di distanza. Quello che nel passato era sembrato un errore di gioventù e inesperienza, vale a dire la posizione del braccio di Maria e il suo relazionarsi spazialmente con il leggio, viene ad essere, in questa nuova interpretazione, una prova di bravura.
Il Tondo Doni di Michelangelo
Unico esempio di pittura su tavola di Michelangelo, con attribuzione comprovata, perfettamente finito nell’esecuzione: per questo di valore inestimabile. Il Tondo Doni è un tripudio di plasticità, vivacità di colori cangianti, intensità di significati. Fu commissionato da Agnolo Doni e Maddalena Strozzi per la loro camera da letto. La sacra famiglia in primo piano è raffigurata secondo uno schema compositivo innovativo e rivoluzionario, con una sinergia di volumi e movimento che ne determina l’aspetto scultoreo. Del resto Michelangelo era prima di tutto uno scultore. Le figure dei nudi sullo sfondo sono di non facile interpretazione: forse giovani uomini in attesa del battesimo, vista la presenza di San Giovannino accanto a loro, e al contempo costituiscono un chiaro rimando alle statue antiche, da cui il maestro aveva da sempre preso ispirazione. Da notare che la cornice del tondo è originale, in legno intagliato e dorato, con motivi vegetali e inserti figurativi.
La Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio
Raffaello, il divino, la cui brillante carriera fu stroncata da una morte prematura all’età di 37 anni, dipinse questa Madonna per il fiorentino Lorenzo Nasi nei primi anni del Cinquecento. Anni di straordinario fermento a Firenze, quando i tre maestri, Michelangelo, Leonardo e Raffaello, lavoravano a importanti progetti per commissioni sia private che pubbliche, in una favorevole congiuntura che ha lasciato per sempre il segno nella storia dell’arte occidentale, e in eredità all’umanità intera la statua del David, il ritratto di Monnalisa, e sublimi Madonne col bambino. Dopo il lungo restauro, che ha tenuto lontano dagli Uffizi l’opera per un decennio, la Madonna del cardellino ritrova la sua perfetta armonia di colori e la precisa maestria del disegno, ed è esposta in una rinnovata cornice da qualche anno, la nuova sala dedicata a Michelangelo e Raffaello. Il quadro era stato vittima del crollo della casa dei Nasi, nel quartiere di Santo Spirito, causato da una frana durante l’alluvione del 1557. Rotto in diciassette pezzi, venne ricomposto e restaurato da Michele di Ridolfo del Ghirlandaio.
La Venere di Urbino di Tiziano Vecellio
E’ stata a lungo la Venere più celebre degli Uffizi, prima che la versione botticelliana la superasse conquistando il primato. Il quadro entrò nelle collezioni medicee con l’eredità della Rovere nel 1631. Venne esposta nella tribuna e lì divenne oggetto di ammirazione e di studio. Ispirò grandi maestri nei secoli successivi, da Goya a Ingres, a Manet. La Venere, dipinta da Tiziano per Guidobaldo della Rovere, doveva rappresentare idealmente l’amore della coppia a cui era destinata: Guidobaldo era sposato con la giovane Giulia Varano, e desideroso di iniziare la fanciulla alle gioie del talamo, chiese a Tiziano un quadro da mettere in camera da letto, con un soggetto che ispirasse l’amore sensuale. Così Venere giace nuda sul letto, e ci guarda senza pudore, offrendo allo spettatore le sue morbide forme. Accanto a lei il cagnolino raggomitolato è un chiaro simbolo di fedeltà, a ricordarci che l’amore a cui si inneggia è l’amore coniugale, Sullo sfondo due domestiche frugano nei cassoni nuziali, alla ricerca di abiti da far indossare alla dea. La luce è calda e soffusa, la pennellata piena ma precisa. Senza dubbio un capolavoro che ha meritato il grande successo riscosso nei secoli.
La Medusa di Caravaggio
Giunti alle sale del Caravaggio e dei caravaggeschi, troviamo un altro celebre capolavoro degli Uffizi, la Medusa, dipinta su uno scudo di legno, su cui è stata applicata una tela; una ‘rotella’, come al tempo si chiamava un oggetto del genere. E’ nota la vicenda storica dell’opera. Fu commissionata dal cardinale Del Monte, mecenate del Merisi, per farne un regalo al granduca di Toscana Ferdinando I. Durante la visita guidata agli Uffizi, c’è sempre chi si sorprende della scelta del soggetto, pensando che nel dono si celasse una minaccia o ammonimento per il granduca. In realtà il cardinale Del Monte conosceva bene Ferdinando dei Medici: sapeva della sua passione per le armi e del fatto che stava allestendo l’armeria agli Uffizi. Lo scudo con la medusa sarebbe stato un oggetto perfetto per completare un delle tante rare e preziose armature da esibire nella collezione. L’opera è davvero sorprendente. La mano di Caravaggio non mente mai, superando senza incertezze la difficoltà che presentava lavorare su una superficie piatta, e disegna perfettamente il groviglio di vipere che incornicia il volto terrificante del mostro.
Oggetto fragile per il materiale e la sua forma, viene conservato e esposto in una vetrina che assicura le migliori condizioni di temperatura e umidità.
Il Bacco di Caravaggio
Altra icona degli Uffizi, il Bacco è opera giovanile e appartiene al periodo ‘chiaro’ del pittore. Rubicondo e gaudente, ci guarda con aria canzonatoria, il calice di vino in mano, appoggiato mollemente e con il petto nudo spavaldamente in bella mostra. Il cesto di frutta è una prova di puro talento: le venature delle foglie di fico, la mela bacata, il melograno rosso sangue, l’uva polverosa, tutto rivela la mano abile del Merisi. Non conosciamo la storia dell’opera, ma si è certi della provenienza dalle collezioni medicee. Una curiosità che a molti sfugge: sulla brocca, al centro nel vino, è appena visibile un minuscolo viso, dettaglio scoperto grazie alla pulitura dell’ultimo restauro, posizionato di tre quarti, con appena accennati i capelli scuri e il colletto bianco. Qualcuno ha ipotizzato che si tratti di un piccolo autoritratto dell’autore, forse il riflesso della sua immagine nell’atto di dipingere il quadro.
Arte romana agli Uffizi: le statue antiche delle collezioni medicee
La galleria è conosciuta al grande pubblico principalmente per la sua ricca pinacoteca, la collezione di pittura rinascimentale italiana più importante al mondo. Non dimentichiamoci però che gli Uffizi vantano una non trascurabile serie di statue antiche, quasi esclusivamente opere di arte romana, esposte lungo i corridoi e in alcune sale appositamente dedicate. Quando iniziamo la visita guidata agli Uffizi, quello che colpisce immediatamente all’entrata nel corridoio di levante, è la sfilata di statue che sembra non finire mai. La quantità è davvero sorprendente: del resto i Medici hanno nutrito una passione speciale per questo genere di opere da collezionare, e ne hanno accumulate a centinaia nel corso dei secoli, da Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico fino agli ultimi granduchi Cosimo III e Giangastone. Al tempo dei Medici molte statue si trovavano a Roma, nella villa di famiglia, in seguito furono trasferite a Firenze. Vi propongo una stringata selezione di statue antiche: sono quelle che durante la visita guidata agli Uffizi vengono di solito mostrate, e che in ogni caso attirano maggiormente l’attenzione e la curiosità dei visitatori.
Venere Medici
Ammiratissima Venere del I sec. d.C., chiamata dai Medici con il nome di famiglia. Si trova ancora lì dove il granduca Cosimo III la collocò nel 1688, nella sala della Tribuna. Ritratta nel gesto di coprirsi con le mani le nudità, presenta una versione rivisitata della Venere al bagno, con accanto un delfino al posto del classico vaso. Nel basamento una scritta in greco riporta il nome di un artista ateniese, Cleomene figlio di Apollodoro. Nel 1802 i soldati francesi ebbero ordine da Napoleone di trasferire la Venere a Parigi, insieme a tanti altri capolavori delle gallerie di Firenze. Solo nel 1816 la statua venne recuperata e di nuovo esposta nella tribuna. Sebbene ora l’accesso alla sala non sia più consentito, è possibile ammirare l’opera da diverse angolazioni affacciandosi alle tre porte di accesso, come gioiello di punta di uno scrigno prezioso.
L’Ermafrodito
Una delle statue più ammirate della collezione dei Medici, in galleria dal 1669. Spostata varie volte nel corso del tempo, adesso si trova in una piccola sala in fondo al terzo corridoio, in cui non è permesso accedere. La statua è visibile quindi restando affacciati sulla porta, ed è immersa in una suggestiva penombra, che svela ed esalta il suo fascino senza tempo. I Medici l’avevano esposta inizialmente nello stanzino delle matematiche, accanto alla tribuna. E’ una copia romana di originale greco di epoca ellenistica. Il corpo sinuoso e morbido giace disteso mostrando i caratteri femminili e maschili, in un gioco ambiguo e sottile. Il mito greco racconta che Ermafrodito era figlio di Ermes e Afrodite; di lui si innamorò perdutamente la ninfa Salmace, che ottene dagli dei di unirsi a lui in un abbraccio eterno che fuse i due corpi.
Marsia
All’inizio del terzo corridoio al secondo piano sono esposte, una di fronte all’altra, due statue, entrambe raffiguranti Marsia, una in marmo bianco, l’altra in pavonazzetto, risalenti al II secolo d. C. Svolgendo ormai le visite guidate agli Uffizi da quasi venti anni come guida turistica di Firenze, riesco a volte ad anticipare quelle che saranno le domande e curiosità dei visitatori, e puntualmente, arrivate a questo punto della visita, di fronte alle due statue, so già che quanlcuno mi chiederà, con aria perplessa, quale storia si celi dietro a queste due opere. In effetti il soggetto provoca una certa ripugnanza, e una volta raccontato il mito, questa non viene smentita. Il satiro Marsia è appeso a un tronco, in preda a una risata nervosa e sarcastica. Il mito racconta che aveva sfidato Apollo ad una gara di flatuo, ma come era immaginabile, non riuscì a vincerla. Apollo lo fece legare a un albero e lì venne scuoiato. Particolare da non trascurare: le due statue erano state collocate dai Medici nel Quattrocento nel loro palazzo di via Larga, disposte ai lati del portone di ingresso, come ammonimento per i malintenzionati.
Amore e Psiche
Tra le statue antiche più fotografate degli Uffizi, si trova nel corridoio di raccordo tra l’ala di ponente e l’ala di levante al secondo piano. Di solito arrivati a questo punto della visita guidata degli Uffizi, concediamo alcuni minuti per godere del panorama sull’Arno e il ponte Vecchio dai grandi finestroni su entrambi i lati, ma il più delle volte i visitatori sono attratti da questa piccola e deliziosa versione di Amore e Psiche, forse statua funeraria, copia romana di un originale ellenistico. Psiche, con le sue ali di farfalla e il dolce sguardo innamorato, è incantata nell’abbraccio con Amore, che teneramente le accarezza il viso. Il mito fu molto popolare tra i romani grazie alla narrazione che ne fece Apuleio nelle sue ‘Metamorfosi’.
Torso Gaddi
Si tratta di un’opera di epoca tardo-ellenistica, in marmo greco, appartenuta alla famiglia fiorentina dei Gaddi. Rinvenuta con tutta probabilità a Roma, divenne celebre nel Rinascimento e fu fonte di ispirazione e oggetto di studio di grandi maestri, come Michelangelo e Rosso Fiorentino. Quello che colpisce del torso Gaddi è la resa elegante della muscolatura, il tratto leggero ma deciso dei dettagli, la raffinata ricerca estetica accompagnata dal vivace senso del movimento. Non venne mai reintegrato, come il torso del Belvedere dei Musei Vaticani, per la difficoltà che richiedeva l’intervento su un pezzo di tale qualità: evidentemente gli artisti del tempo furono scoraggiati nel cimentarsi in questa impresa. Sul basamento si legge ‘torso di fauno’, ma la dicitura riporta una vecchia credenza, smentita dalla critica recente. Il torso non apparteneva infatti a una statua di fauna, ma di un centauro, forse con le mani legate dietro alla schiena, secondo una iconografia piuttosto diffusa nell’ultima fase dell’arte ellenistica. Il torso Gaddi ha avuto negli ultimi anni collocazioni diverse in galleria; ad oggi si trova al primo piano del palazzo, nel corridoio di collegamento tra le due ali, insieme ad altre opere di arte antica delle stesso periodo, eccetto i due bronzi del Cinquecento.
Torso del Doriforo
Nella salta 30, fino a qualche anno fa dedicata alla pittura emiliana del Cinquecento, è ora esposta una pregevole copia romana del Torso del Doriforo, in basalto verde scuro. L’originale greco di Policleto, in bronzo, raffigurava compiutamente l’ideale di eroe e atleta, la perfezione nell’armonia delle forme e delle proporzioni matematiche. A detta dei critici, questa copia degli Uffizi è sicuramente la migliore tra i numerosi esempi noti.
Le sale storiche: la Tribuna e la sala dei Niobidi
La Tribuna (sala 18) è storicamente la sala più importante della galleria. Realizzata dall’architetto granducale Bernardo Buontalenti per Francesco I negli anni ottanta del Cinquecento, quando si concretizza l’ambizioso progetto di trasformazione dell’ala di levante del palazzo all’ultimo piano in luogo di esposizione di capolavori d’arte, preziosi, eccellenze delle collezioni medicee.
La Tribuna è il fulcro della galleria, è uno scrigno di bellezza, è il luogo della meraviglia. A impianto ottagonale, con il pavimento a intarsio di marmi colorati, le pareti sono rivestite di velluto cremisi e con la parte superiore dipinta di azzurrite e incrostata di madreperla, la cupola costellata di conchiglie su fondo rosso, e la rosa dei venti al centro collegata a una banderuola esterna. Una volta completata venne arricchita di pezzi d’arte di ogni genere, dalle statue antiche ai quadri del Cinquecento, dai bronzetti ai vasi in pietre dure. Un riflesso del gusto del committente, il granduca Francesco I, raffinato collezionista e appassionato di alchimia. Nella Tribuna si incontrano la natura e l’artificio, la scienza e l’arte, con evidenti rimandi ai quattro elementi dell’universo: il pavimento è l’elemento terra, le pareti il fuoco, la cupola l’acqua, il soffitto l’aria.
Nel 2010 la tribuna è stata chiusa al pubblico per un impegnativo intervento di restauro che ha interessato la cupola e le pareti: pulitura delle conchiglie, reintegro della pittura mancante, sostituzione del velluto. E’ stata eliminata la piattaforma su cui si camminava, liberando il pavimento originale di marmo da questa invadente struttura che ne comprometteva la vista. Con l’apertura della porta sullo Stanzino delle Matematiche, si è ripristinato l’originale progetto della sala. Sebbene non sia permesso entrare, dalle tre porte si riesce comunque ad avere lo sguardo d’insieme e a godere della bellezza unica di questo magico luogo.
La sala della Niobe (sala 42) si trova nell’ala di ponente al secondo piano del palazzo. Una grande sala che riscuote sempre grande successo quando la mostriamo durante le visite guidate agli Uffizi, sia per la raffinata decorazione neoclassica con stucchi in bianco e oro, sia per il notevole gruppo scultoreo che vi è esposto, sia per grandi tele alle pareti.
La sala fu realizzata al tempo dei Lorena Asburgo per il gruppo dei Niobidi, ovvero una serie di statue antiche provenienti dalle collezioni medicee, presenti in galleria dal 1770. Il gruppo dei Niobidi era stato rinvenuto a Roma nel 1583 ed appartenne al cardinale, poi granduca di Toscana, Ferdinando dei Medici. Per un lungo periodo le statue fecero parte della collezione di antichità alla villa Medici al Pincio. Non avendo dati certi sul numero esatto di statue che erano state ritrovate nello scavo del 1583, è difficile confermare che tutte le opere esposte nella sala degli Uffizi facessero parte di un unico gruppo riferibile allo stesso autore o alla stessa officina di epoca romana, e che siano relative al mito di Niobe. Il dubbio resta e sarà difficile fugarlo.
Niobe è rappresentata nel disperato tentativo di proteggere una delle figlie dai dardi che scendono dal cielo. Il mito racconta che Niobe era la moglie del re di Tebe ed aveva ben quattordici figli. Si vantò della sua prole con la dea Leto, madre di soli due figli, Apollo e Artemide. La vendetta di Leto fu terribile: fece uccidere tutti i figli di Niobe, che distrutta dal dolore si trasformò in una colonna di pietra sul monte Sipilo in Lidia. Le altre statue del gruppo rappresentano i figli di Niobe, detti Niobidi, alcuni nell’atto di scansare le frecce o di proteggersi da esse, altri già feriti e morenti. Ne risulta così un effetto di forte impatto emotivo e teatrale.
Nella sala si trovano anche due tele di Rubens, che facevano parte di un ciclo dedicato al re di Francia Enrico IV, commissionato dalla moglie, la regina Maria dei Medici.
Un museo nel museo: la nuova sezione dedicata alla collezione Contini Bonacossi
Nel 2018 è stata inaugurata agli Uffizi una nuova sezione dedicata alla collezione Contini Bonacossi, che finalmente viene resa fruibile al pubblico, dopo che per lungo tempo vi si poteva accedere solo in periodi contingentati e su prenotazione, e trova una degna collocazione espositiva grazie al direttore della galleria Eike Schmidt, promotore dell’iniziativa.
La collezione consiste di 144 pezzi tra quadri, mobili, sculture, ceramiche e terracotte invetriate. Le opere appartenevano al conte Alessandro Contini Bonacossi, che in vita aveva espresso la volontà di lasciare la sua collezione privata allo stato italiano, con il vincolo che essa fosse interamente esposta a Firenze. Alla morte del conte nel 1955 però il testamento non era stato redatto e perfezionato, e per legge la decisione sul futuro della collezione passò agli eredi. Questo causò una lunga vicenda giudiziaria a causa dei disaccordi in seno alla famiglia, e si arrivò alla decisione finale di concederne allo stato italiano solo una parte, mentre l’altra venne venduta all’estero. Fu addirittura necessario emanare un decreto speciale firmato dall’allora Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, perché le leggi che tutelano il patrimonio non ne permettevano l’uscita dai confini nazionali. Si attuò dunque un doloroso compromesso, che ha reso possibile l’acquisizione a titolo gratuito di importanti opere d’arte, ma ha anche fatto sì che una ingente e significativa parte della collezione venisse comprata da musei stranieri.
Raramente mostriamo la collezione durante le visite guidate agli Uffizi, per mancanza di tempo, ed è un peccato perché queste sale meritano davvero di essere viste. Per questo propongo una visita esclusivamente dedicata a questa sezione, della durata di circa due ore, consigliata a chi già conosce gli Uffizi ma non ha ancora avuto modo di vedere questa nuova sezione del museo.